Si rifiuta di lavorare con la web cam accesa licenziato! Non accendi la telecamera? Ti licenzio… Sembra il titolo di una commedia americana dai risvolti grotteschi, ma è quello che è successo realmente ad un dipendente olandese della Chetu Inc, azienda americana con collaboratori, operativi da remoto, dislocati in tutto il Mondo. Il Tribunale olandese di Tillburg ha dichiarato illegittima la richiesta dell’azienda – che al rifiuto del lavoratore ha reagito con una lettera di licenziamento – condannandola ad una sanzione di 73.000 dollari – in risarcimento al lavoratore – per violazione della privacy. Vediamo perché.
Violazione dei diritti umani
La sentenza del Tribunale olandese si basa sull’articolo 8 della Convenzione per la protezione dei Diritti umani e libertà fondamentali. L’8 è l’articolo della convenzione che affronta il tema del diritto al rispetto della vita privata e familiare.
Interessi aziendali e Privacy del lavoratore
Il sempre più massiccio utilizzo di tecnologie di controllo in ambito lavorativo ha reso necessaria, dal punto di vista legislativo, un’attenzione massima al tema del bilanciamento tra interessi delle aziende e riservatezza del lavoratore. Sul tema del controllo a distanza, in Italia, ci si deve rifare allo Statuto dei lavoratori, in particolare all’art.4 (L.300/1970), modificato poi in Jobs Act nel 2015.
Telecamere permesse solo in casi eccezionali
Nella sua prima stesura, l’art.4 dello Statuto dei Lavoratori sanciva l’assoluto divieto di utilizzo di impianti audiovisivi e di altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori. Con la revisione del 2015, il già citato Jobs Act, il divieto è stato mantenuto, ma è stata aggiunta la possibilità, per le aziende, di impiegare telecamere esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale. Lapalissiano che l’eventuale istallazione di mezzi di controllo audio/video debba ricevere l’approvazione delle associazioni sindacali e dall’Ispettorato del lavoro, qualora manchino le prime.
Da remoto a telecamera spenta
Tornando al fatto Olandese. Ha riaperto un tema piuttosto caldo, quello del “controllo” da parte delle aziende sull’operato dei dipendenti/collaboratori. Se da un lato è comprensibile l’esigenza di monitoraggio delle attività aziendali, dall’altro, come evidenziato dal tribunale olandese, risulta contrario al diritto del dipendente una intromissione così invasiva della sua vita privata.
Telecamera accesa
Nel caso specifico, il dipendente, programmatore per una azienda di software viene assunto da una azienda americana che, date le caratteristiche della sua mansione, opta per la delocalizzazione, lasciando al lavoratore la possibilità di svolgere le proprie mansioni tra le mura domestiche. Assunto nel 2019, il programmatore ha lavorato fino a Maggio 2022, momento in cui l’azienda gli impone di tenere accesa la telecamera del proprio computer per tutte le 8 ore lavorative.
Il rifiuto
Si rifiuta di lavorare con la web cam accesa, licenziato il dipendente che, in sua difesa ha sostenuto come il monitoraggio tramite file log fosse sufficiente a valutare il suo lavoro. Una motivazione che il tribunale olandese ha considerato valida, al contrario della Chetu inc, che all’epoca lo licenziò in tronco per “insubordinazione e rifiuto a lavorare”. Nella difesa, l’azienda ha sostenuto che se il lavoratore fosse stato presente in sede sarebbe stato controllato direttamente di persona. Tesi non accolta dal Tribunale, che così ha sentenziato:
il datore di lavoro non ha chiarito a sufficienza i motivi del licenziamento. Inoltre, non vi è stata alcuna prova di un rifiuto di lavorare, né vi è stata un’istruzione ragionevole. L’istruzione di lasciare accesa la telecamera è contraria al diritto del dipendente al rispetto della sua vita privata
Fosse accaduto in Italia?
E in Italia? Il sopra citato Statuto dei Lavoratori parla chiaro all’art.4. É assoluto il divieto di utilizzo di impianti audiovisivi e di altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori. In sostanza, ci sentiamo di poter affermare che, considerando la solidità della nostra regolamentazione in tema privacy – e delle organizzazioni sindacali – in Italia un fatto di questo tipo è molto improbabile si possa verificare. Qualora accadesse le sanzioni per l’azienda non sarebbero affatto leggere.